domenica 27 settembre 2015

SPIRITUALITA'



                  Santa Francesca Romana e Santa Virginia Centurione: “due donne perfette”
Due vite eguali, anche se vissute a 200 anni di distanza, esistenze provate da dure accettazioni ed imposizioni fin dalla fanciullezza, a causa di rapporti familiari dettati dai forti egoismi maschilistici di quel tempo e proseguite poi negli anni con pesanti sacrifici e tanti dolori. Due donne nate in seno
a casate ricche e nobiliari, fondamentalmente però  cresciute sotto i dettami della religione cristiana insegnata loro dalle genitrici e da loro praticata fino alla fine della loro vita.
Parliamo di Francesca Bussa de' Buxis e di Virginia Centurione Bracelli.
Se passeggiamo per Roma e chiediamo a qualcuno: “ Sapete chi è S. Francesca Romana?” Quasi nessuno saprà rispondervi, solo i non più giovani vi diranno che è la chiesa ove si sposarono i genitori di Romina Power, tutto qui. Ma perchè una chiesa porta questo nome? Perchè una piccola grande donna nata nel 1384 fu chiamata la poverella, o meglio Ceccolella, di Trastevere e perchè seppe spogliarsi di ogni ricchezza iniziando una missione evangelica fondata sulla carità.
A quei tempi alle giovanette venivano imposti i matrimoni affinchè le grandi famiglie risultassero legate tra loro. Così Francesca a 13 anni andò sposa a Lorenzo de' Panziani e cominciò il suo duro legame con un uomo dissoluto ed egoista che la costringeva a casa ed ad avere figli. Due di loro morirono di peste nel 1425 e quel dolore indirizzò Francesca a fare un percorso di preghiere entrando a far parte delle oblate nella chiesa di S.Maria Nova al Foro. Dopo la morte del marito,
paralizzato dal 1409, entrò in monastero e ne assunse la guida. Donò tutto ciò che possedeva ai poveri, si privò di ogni legittima proprietà e cominciò a percorrere le vie di Trastevere entrando in contatto con la vera povertà e divenne lei stessa povera tra i poveri. Morì nel 1440 e fu canonizzata nel 1608 da Papa Paolo V° Borghese, e la basilica S.Maria  Nova fu a lei intitolata nel medesimo secolo da Papa Urbano VIII °. Fattasi dunque povera per amore di Gesù dedicò la sua vita ad ogni tipo di carità e fece comprendere a tutti che pregare senza donare è come vivere a metà e perchè seminare carità vuol dire assicurare a tutti il diritto di essere esseri umani. E' considerata protettice di Roma e contro le pestilenze ed inoltre è protettrice degli automobilisti.
Come Francesca anche Virginia, nata nel 1587 ebbe una vita pesantemente violentata da un matrimonio imposto avvenuto quando aveva appena 15 anni, e con un uomo, Gaspare Bracelli, “un enfant gaté” della società di quel tempo. Dissoluto, giocatore e traditore. Fece una brutta fine: morì
di tisi a soli 24 anni e lei a 20 rimase vedova.  Bella e ricca attirava l'attenzione di molti, ma questa volta non accettò una nuova imposizione del padre, doge di Genova e successivamente governatore della Corsica, e cominciò, dopo un periodo di meditazioni e preghiere, la sua opera di volontariato nelle strade genovesi. Accolse nel suo palazzo, ed in altri, grazie agli aiuti di amici, i tanti profughi che fuggivano dalle riviere a seguito dei saccheggi dei soldati franco-piemontesi che volevano impadronirsi delle roccaforti liguri, e volse lo sguardo ai poveri che vivevano in condizioni disumane. La sua attenzione si spostò poi nelle chiese che erano in stato di abbandono e degrado e fece sì che riprendessero i restauri delle case di Dio. Quando la peste invase Genova obbligò tutti i signorotti della città ad ospitare i malati e a fondare due istituzioni caritative: l'ufficio dei poveri, e le Dame della Misericordia. Si sa, i santi sono persone concrete e così Virginia riuscì ad aprire le prime scuole e, grazie ad un lascito del padre, fece assegnare del denaro ai genitori affinchè obbligassero i  figli a frequentarle e dar un tetto ai più poveri ed affamati.
Nel 1631 lasciò definitivamente la sua casa e con le sorelle spirituali entrò nel convento del Monte Calvario. Genova credette in Lei e le affidò il compito di assistere i malati degli ospedali, di riformare il Lazzaretto e da allora  nacquero “le brignoline”, suore, che ancora oggi sono al servizio dei malati genovesi presso il S.Martino. Fu attiva in molti settori e  con l'aiuto del Cardinale Stefano  Durazzo definito il Borromeo genovese, istituì le quarant'ore nelle chiese e la predicazione delle missioni popolari,  e sicuramente Gesù la istruì bene, ben sapendo che proprio la donna è cooperatrice nel cammino di salvezza dell'umanità.
Morì nel 1651 ed il 20.9.1801 nel Monastero di S. Chiara fu trovata la cassa ove era  il suo corpo
e lo stesso risultò in perfetto stato di conservazione ed ancora flessibile nei movimenti come se fosse stato deposto da poco tempo.  Il medico legale constatata la sorpredente scoperta chiamò il notaio Domenico Piaggio che, da autentico miscredente, fu costretto a confermare lo stato della defunta e da quel momento tutte le sue certezze crollarono e dichiarò di dover, suo malgrado, accettare e riconoscere l'esistenza di qualcosa di soprannaturale.
Papa Giovanni Paolo II la elevò agli altari il 18.05.2003.
Oggi Papa Francesco esorta incessantemente ad uscire per strada  ad andare incontro a chi ha tanto bisogno, ed in effetti è quello che fecero sia Francesca che Virginia, ed a ben vedere, quelli furono “fatti” che lasciarono il segno.
La preghiera, poi, fece parte in misura importante delle loro vite, le edicole fatte costruire negli incroci  delle strade cittadine e sulle facciate di palazzi importanti, testimoniano che alternare la carità alla preghiera vuol dire avvicinarsi al paradiso. Furono due vere operatrici sociali perchè assicurarono al mondo di allora il riscatto dall'indigenza e dalla povertà di molte persone.
Il motto di Virginia è scritto in queste sue parole: “ L'oro della carità e l'incenso delle buone parole è l'anima della conoscenza, perchè possiamo così riconoscere il bene dal male”.
Giovanni Paolo II nella lettera apostolica “Mulieris dignitatem” definisce – La donna perfetta-  “un
insostituibile sostegno e la fonte di forza spirituale per gli altri. E a queste donne  devono molto le loro famiglie e talvolta le intere nazioni”.
Quindi  S. Virginia Centurione e S.Francesca Romana vanno annoverate tra queste donne perfette perchè vollero farsi mendicanti d'amore e messaggere di pace.
(Maria Teresa)


                                                 


giovedì 17 settembre 2015

SPIRITUALITA'

continua la pubblicazione del calendario legionario 2016; mese di giugno



 La crocifissione
“Disposta ogni cosa per la crocifissione, i carnefici privarono il Salvatore, del manto e della cintura; poi Gli tolsero il vestito  esterno di lana bianca. Perché per la corona di spine, non potevano sottrarre al Galileo , la tunica inconsutile e tessuta dalla Vergine, Gliela strapparono con violenza, riaprendoGli tutte le ferite. Non Gli rimaneva altro che un drappo d’intorno alle reni. Perché la tunica era attaccata alle piaghe, Gesù dovette soffrire strazianti dolori quando Gliela strapparono.  Egli tremava e gemeva, nel versare nuovo sangue; il petto e la schiena erano tutti ricoperti di ferite così profonde che si vedevano perfino le ossa.
Perché il divino Paziente vacillava in procinto di svenire per le atroci sofferenze, Lo si fece sedere sopra una pietra, anche per rimetterGli la corona di spine sulla fronte… Quando Lo si distese sopra la croce, si stirò il Suo braccio destro fino al foro dove si sarebbe fissato il chiodo e poi se ne legò solidamente il polso con una fune. Intanto uno sgherro pose il ginocchio sul petto di Lui, un altro Gli aperse la mano e un terzo appoggiò sulla palma di essa un grosso e lungo chiodo che poi colpì con un martello di ferro.
Un gemito, dolce ma straziante, uscì allora dal petto del Salvatore, mentre il Suo sangue spruzzava le braccia dei carnefici. Dopo aver inchiodato la mano destra del Galileo, gli aguzzini si accorsero che la sinistra non arrivava al foro aperto sull’altra estremità della croce. Allora si legò una corda al braccio sinistro di Lui che poi fu stirato intensamente, finché a mano arrivasse al foro stesso. Questa slogatura del braccio, causò al Salvatore un atroce strazio. Il Suo petto si sollevava e le ginocchia tremavano.  Ma i carnefici non badavano affatto alle Sue sofferenze. Uno di essi pose nuovamente il ginocchio sul petto del divino Paziente, al quale fu legato il braccio e poi Gli si affondò il secondo chiodo sulla palma sinistra.
Tra le assordanti martellate si udivano i fievoli gemiti del Salvatore, con le braccia orizzontalmente distese. Le punte dei chiodi erano così lunghe, da uscir dietro la croce che era di un considerevole spessore.
Intanto l’Addolorata che assisteva a quegli strazi, era pallida come un cadavere, perché compenetrata da tutti i dolori del Suo diletto Figlio; profondi gemiti Le uscivano quindi dal petto.
I farisei La burlavano e insultavano, mentre la Maddalena sembrava impazzita; ella si adunghiava la faccia e le sue guance, perciò, sanguinavano. Anche per i piedi si era praticato un foro sull’estremità del tronco, presso lo zoccolo, dove Gesù avrebbe posato i talloni. Perché il corpo del Salvatore si era rannicchiato verso l’alto della croce per la violenta contrazione delle braccia, anche le ginocchia erano piegate per lo sforzo di diminuirne il peso che gravava sulle palme straziate. Ma i carnefici le distesero per legarle con funi; i piedi però non giungevano sullo zoccolo preparato per sostenerli. Allora, infuriati per aver preso male le misure, alcuni di quei bruti avrebbero voluto praticare nuovi fori per i chiodi delle palme, poiché riusciva difficile ormai, inchiodare lo zoccolo più in su; altri vomitavano imprecazioni contro di Lui e dicevano inviperiti: “Non vuole stirare le gambe, ma adesso Gliele stiriamo noi stessi a dovere…” Legarono perciò corde alla Sua gamba destra che poi distesero violentemente, finché il piede giungesse al foro praticato sullo zoccolo.
Ma quello stiramento provocò una così straziante slogatura, che Gesù gemette: “Mio Dio, Mio Dio!”
Poi Gli si legarono con funi anche il petto e le braccia affinché, rizzata verticalmente la croce, il peso del corpo non strappasse le mani dai chiodi. Anche questo tormento era opprimente poiché il petto, così compresso, non poteva più dilatarsi liberamente per la penosa respirazione.
Legato quindi, il piede sinistro sopra il destro, furono perforati ambedue con un trapano, poiché non erano in una posizione adatta per poterli inchiodare separatamente. Poi si prese un chiodo più lungo di quelli delle mani e lo si conficcò sui piedi sovrapposti l’uno sull’altro e appoggiati sullo zoccolo. Questa fu una tortura ancor più dolorosa delle precedenti, per la slogatura di tutto il corpo. I gemiti che il dolore strappava a Gesù, si univano alla continua orazione ch’Egli rivolgeva al Padre Suo con salmi ed espressioni profetiche, i cui vaticini si andavano compiendo. Il Salvatore non aveva mai smesso di pregare così, neppure su per la via dolorosa e così continuò fino alla morte.”
(Carlo)   (dagli scritti di Caterina Emmerick)

domenica 6 settembre 2015

SPIRITUALITA'

Continua la pubblicazione del calendario legionario 2016; mese di maggio



 L’erta penosa
“Quando il corteo si rimise in marcia, Gesù, curvo sotto il peso del trave trasversale e colpito dai colpi dei carnefici, salì penosamente su per l’erta tra le mura della città e il Golgota. Dove il sentiero piegava a mezzogiorno, Egli cadde dolorosamente perché sospinto e percosso più brutalmente che mai. Anche prima di giungere, trafelato, sul Calvario, Egli cadde penosamente perché le Sue forze fisiche erano ormai esaurite.  Il cireneo, quantunque stanco e disgustato, avrebbe voluto sollevare dal suolo il Redentore, ma gli sgherri glielo impedirono con ingiurie e maltrattamenti.
Per la sua pietà verso il Nazareno, Simone (il cireneo) divenne poi uno dei più zelanti discepoli di Lui.
Tormenti
Lo spiazzo della parte elevata del Golgota, orrendo teatro di supplizio, era di forma quasi circolare e circondato da un terrapieno, attraversato da cinque sentieri. Il lato per il quale si conducevano i condannati, era aspro e ripido. I soldati romani erano disposti su punti strategici per impedire eventuali tumulti e sedizioni, poiché la gente che formava il corteo, era quasi tutta plebaglia da trivio, risultante di schiavi, di pagani e di donne del volgo; tutte persone che non temevano di contaminarsi.
Quando il Salvatore cadde per l’ultima volta, fu allontanato di là il cireneo e gli sgherri fecero alzare Gesù con calci e pugni. Quale pietoso aspetto  Egli aveva!  Spossato, pallido, insanguinato e ritto in piedi sul luogo del supplizio.  Non soddisfatti di averLo  maltrattato durante la lunga ascesa, i carnefici Lo gettarono a terra e poi Lo insultarono con queste parole:”O Re dei giudei! Adesso innalziamo il Tuo trono!”
Ma Egli si distese sulla croce come si richiedeva, per prendere le misure; poi Lo si accompagnò verso una cavità rocciosa. Lo si spinse così brutalmente, ch’Egli si sarebbe rotte le ginocchia contro la rupe, se gli Angeli non Lo avessero soccorso. Introdotto il divin Condannato sotto quell’antro, se ne chiuse l’entrata, presso la quale furono poste due sentinelle. Allora cominciarono i preparativi.
Al centro del piano circolare si elevava la roccia del Golgota: era un’altura tondeggiante alla quale si accedeva mediante scalini. Su di essa furono scavate tre buche per fissarvi dentro le tre croci. Si pose ogni croce là dove ogni condannato si sarebbe dovuto inchiodare, in modo da poterla poi innalzare senza difficoltà, per lasciarla cadere dentro la buca. Furono inchiodati i due tronchi della croce di Gesù, all’estremità dei quali si praticarono i fori per conficcarvi i chiodi. Superiormente si fissò la tavoletta della Sua condanna e inferiormente uno zoccolo per posarvi i piedi. Si fece così, affinché il corpo del Redentore fosse sostenuto e il Suo peso non gravasse troppo sulle mani che altrimenti si sarebbero strappate dai chiodi. Intanto quattro fieri manigoldi, fecero uscire Gesù dalla caverna e poi Lo trascinarono dov’era preparata la croce per Lui.  Allorché Lo videro le pie donne, diedero denaro agli sgherri, affinché permettessero di somministrarGli  il vino aromatizzato della Veronica. Ma quei miserabili non diedero tale permesso e bevettero il vino. Essi invece avevano un vaso con aceto e fiele e un altro con vino mirrato.
Questo presentarono al divino Paziente che vi bagnò appena le labbra riarse, ma non volle bere.Sul promontorio vi erano diciotto aguzzini, occupati nel giustiziare il Salvatore e i due ladroni.
I carnefici erano di bassa statura ma robusti; avevano ceffi da stranieri e capelli crespi; sembravano animali feroci. Servivano i romani e i giudei, unicamente per lucro.  Intanto vedevo frequentemente aleggiare d’intorno al Salvatore Angeli compassionevoli e Angelucci radiosi dei quali non distinguevo che le testoline graziose. Ammiravo pure Angeli che confortavano l’Addolorata e quanti simpatizzavano per Gesù.”                         (continua)
(Carlo)