Da: “I lavoratori del
mare” di Victor Hugo
Anche se non del tutto consono al tono della sezione “Spiritualità”,
ho ritenuto che questa descrizione della tempesta marina dell’agnostico autore
Victor Hugo, implicitamente dichiari la potenza del Creatore e il Suo dominio
sugli elementi. Vengono in mente subito le parole degli Apostoli in Marco 4,35:
“Chi è Costui a cui il mare e i venti Gli obbediscono?”
I venti
del largo
“Da quale
parte vengono? Dall’incommensurabile. Alla loro ampiezza occorre il diametro
dell’abisso. Le loro ali smisurate abbisognano dell’indefinita lontananza delle
solitudini. L’Atlantico, il Pacifico, immense distese azzurre; questo è
necessario a loro. Le rendono cupe, volandovi sopra a stormi. Il comandante
Page una volta, in alto mare, ha visto contemporaneamente sette trombe marine.
Sono là, truci, premeditano i disastri e il loro lavoro è il gonfiamento
effimero ed eterno dei flutti. Si ignora ciò che possono, non si conosce ciò
che vogliono: sono le sfingi dell’abisso e Gama è il loro Edipo. Nell’oscurità
della distesa marina in continuo moto, appaiono in aspetto di nuvole. Chi
scorge i loro lividi lineamenti nell’immensità dell’orizzonte marino, si sente
in presenza di una forza irriducibile…I venti assalgono massacrando e si
difendono dileguandosi…E’ mezzogiorno, e d’improvviso fa notte: passa un
tornado. E’ mezzanotte e repentinamente fa giorno: si accende l’emanazione
polare. Si alternano turbini in controsenso, specie di orrida tregenda,
scalpitìo di flagelli sull’elemento. Una nuvola troppo pesante, si rompe nel
mezzo e cade a pezzi sul mare; altre nubi cariche di porpora, rischiarano e
brontolano, poi si abbuiano lugubremente. La nube vuotata dal fulmine,
annerisce: è come un tizzone spento.
Sacchi di
pioggia si squarciano, tramutandosi in nebbia. Lì una fornace nella quale
piove; più in là un onda dalla quale sprizzano fiamme. I biancori dell’oceano
sotto i nembi, illuminano lontananze sorprendenti…
La
trepidazione del mare annunzia una spaventosa aspettazione. Inquietudine;
angoscia; profondo terrore dei flutti. Poi, d’improvviso, l’uragano, come una
belva, viene a dissetarsi all’oceano. Succhio inaudito; l’acqua sale verso la
bocca invisibile, si forma una bolla, il tumore si gonfia: è la tromba marina…
La vasta agitazione delle solitudini oceaniche, ha una gamma temibile
<<crescendo>>; il turbine, la raffica, la burrasca, l’uragano, la
procella, la tempesta, la tromba marina; le sette corde della lira dei venti,
le sette note dell’abisso. Il cielo è larghezza, il mare rotondità. Un soffio
passa: non c’è più niente di tutto questo; tutto è furia e confusione…
E’ lora
delle tempeste. Il mare aspetta in silenzio.
Quando la
tempesta autunnale o invernale ritarda, è segno che accumula forze: tesaurizza
per la devastazione…Quando l’attesa è troppo lunga, il mare tradisce la sua
impazienza con una calma più spiccata; però la tensione magnetica si palesa con
quel fenomeno che si può definire “infiammazione dell’acqua”. Dai flutti escono
bagliori; aria elettrica ed acqua fosforica.
Intanto i
venti sopraggiungono di laggiù, dal largo, dalle inespugnabili latitudini, dal
livido orizzonte delle solitudini, dal fondo della libertà illimitata…
Ecco ciò che
si sente nell’oscurità, in lontananza, sopra l’attonito silenzio del mare…Il
vento è molteplice, ma l’aria è una. Da ciò deriva che ogni uragano è misto: lo
esige l’unità dell’aria. Tutto l’abisso partecipa ad una tempesta. Tutto
l’oceano è in una burrasca; vi entra in combattimento e vi partecipa la
totalità delle sue forze…
Il
combattimento
Quel muro
d’aria si ergeva tutto di un pezzo, in silenzio; nessuna ondulazione, nessuna
increspatura, nessuna asperità che si deformasse o si spostasse. Quell’ìmmobilità semovente era lugubre.
Il sole,
illividito dietro una indefinibile trasparenza malsana, rischiarava quei
lineamenti da apocalisse.
La nuvola
invadeva già quasi la metà dello spazio; si sarebbe detto l’orrido altipiano
dell’abisso. Era qualcosa come il sorgere di una montagna d’ombra fra la terra
e il cielo…
Sull’orizzonte
pesava e si distendeva una zona di nebbia color cenere e allo zenith, una zona
color piombo; dalle nuvole pendevano stracci lividi sulle nebbie sottostanti;
il fondo, muraglia di nubi, era scialbo, latteo, terreo, cupo, indescrivibile.
Una sottile fascia di nuvole biancastre, diagonale, sopraggiunta non si sa da
dove, fendeva obliqua, da settentrione a
mezzogiorno, l’alta e fosca muraglia. Una
delle estremità di questa fascia, rasentava il mare e nel punto in cui
toccava i flutti, si scorgeva, tra il cupo spessore, un incerto vapore
rossastro…Si era formato un soffitto nero e compatto che nel lontano orizzonte giungeva al mare e si
confondeva con esso nella notte. Si sentiva sopraggiungere qualcosa; qualcosa
di ampio, di greve, di fosco. Le tenebre si addensavano. Un tuono immenso
scoppiò all’improvviso…Il frastuono non fu accompagnato da alcun
lampeggiamento: fu come un tuono nero. Tornò il silenzio. Si ebbe una specie di
pausa, come quando si prende posizione. Poi apparvero successivi e lenti,
grandi lampi informi; lampi muti, senza alcun brontolìo. Allo scoccar del
lampo, tutto si illuminava. La muraglia di nuvole ora si trasformava in antro:
aveva volte ed archi; vi si distinguevano profili; mostruose teste si abbozzavano; sembrava che due colli si
allungassero; si intravvedevano elefanti carichi delle loro torrette, che
subito sparivano…
S’alzò il
vento. L’attesa dell’ombra era al colmo: il primo scoppio di tuono aveva scosso
il mare; il secondo squarciò la muraglia di nubi dall’alto al basso; si aprì
una fenditura e tutto precipitò da essa; il crepaccio diventò come una bocca
piena di pioggia e cominciò il vomito della tempesta. Il momento fu spaventoso.
Scrosci di
pioggia, uragano, folgorazioni, ondate fino alle nubi, schiuma, scoppi,
contorsioni frenetiche, urli rauchi e sibili: tutto contemporaneamente. Uno
scatenarsi di mostri. Il vento soffiava turbinoso, la pioggia non cadeva ma
precipitava… L’uragano aveva sferrato inabilmente l’attacco. Ma gli attacchi
del vento, hanno direttive curve e c’era da aspettarsi qualche improvviso
mutamento…
Il fragore
dell’uragano cresceva. Ogni tempesta è un succedersi di colpi: questa è la sua
forza ma anche la sua debolezza, perché tale implacabile rabbia, offre
incentivi all’intelligenza e l’uomo si difende. Ma sotto quale pressione!
Niente di più mostruoso. Nessun ritegno, nessuna pausa, nessuna tregua, nessuna
sosta per lasciar trarre il respiro; in questa prodigalità dell’inesauribile, è
una certa quale viltà; vi si sente l’afflato del polmone dell’infinito. Le
spirali indefinite e fuggenti del vento sibilavano, travolgendo i flutti; le
onde tramutate in giganteschi dischi sotto quei vortici, venivano lanciate
contro le rocce come da invisibili atleti.
Un’abbondantissima
schiuma ricopriva tutti gli scogli: torrenti in alto e bave in basso. Poi i
muggiti raddoppiavano. Nessun suono umano o bestiale ululato potrebbe dare un’idea
del frastuono che accompagnava il sommovimento dei flutti. Le nuvole
cannoneggiavano, la grandine mitragliava, le onde muovevano all’assalto. Certe
zone parevano immobili; su altre il vento percorreva venti tese al secondo.
Il mare, fin
dove poteva arrivare l’occhio, era bianco: dieci leghe d’acqua insaponata
riempivano l’orizzonte…Un acquazzone incommensurabile cadeva a dirotto. Si
sentivano in cielo, di tanto in tanto, scariche di moschetteria. Nel mezzo del
tetto d’ombra, v’era una specie di ampia gerla capovolta, dalla quale cadevano
confusamente, la tromba marina, la grandine, la nebbia, le folgori, la notte,
la luce, i frastuoni, i lampi: tanto sono formidabili questi rivolgimenti dell’abisso…Intorno
a lui (Gilliatt)il tumulto dei flutti sembrava quello d’una caldaia in ebollizione;
enorme il frastuono; pareva talvolta che
il fulmine rotolasse per le scale. Le saette cadevano senza tregua, sempre
sulle punte dei medesimi scogli, perché probabilmente venate di diorite.
Cadevano chicchi di grandine grossi come pugni; Gilliatt doveva scuoterli dalle
pieghe della sua casacca e perfino le sue tasche ne erano piene…
L’uragano
aveva raggiunto il parossismo. Fino a quel momento la tempesta era stata terribile;
da allora diventò orrenda. La convulsione del mare giunse al cielo. La
nuvolaglia, fino a quell’istante, era stata padrona assoluta; pareva agisse
dispoticamente: dava l’impulso, versava la follia sulle onde, mantenendo al
tempo stesso una certa qual sinistra lucidità. In basso regnava la follia, in
alto la collera. Il cielo è il soffio, l’oceano è la schiuma; da ciò deriva la
supremazia del vento. L’uragano è genio…Le nubi, terribili, modellavano nell’immensità,
maschere di gorgone. Tutto il possibile apparato d’intimidazione, si metteva in
mostra. La pioggia veniva dalle onde, la schiuma dalle nubi. Fantasmi di vento
si curvavano; volti di meteore s’imporporavano e si eclissavano e l’oscurità,
dopo il loro dileguarsi, appariva mostruosa…
Le violenze
supreme disorganizzano la tempesta ; tutti i marinai lo sanno: l’ultima prova è
aspra ma breve e l’infierire del fulmine è l’annunzio della fine. Ad un tratto
la pioggia smise. Poi restò soltanto un rabbioso tumultuar di nebbia. L’uragano
si fermò, come un’asse che cada a terra; per così dire, si ruppe. L’immenso
groviglio di nuvole si disfece e uno squarcio di cielo sereno aprì le tenebre…La
tempesta era durata circa venti ore. Il vento che l’aveva portata, la riportà
via. Un ammassarsi di oscurità diffusa, ingombrò l’orizzonte. Le nubi
scompigliate ed in rotta, si accumularono confusamente, tumultuando. Da un capo all’altro della linea delle nubi
si ebbe un movimento di ritirata. Si sentì un lungo brontolio decrescente;
caddero le ultime gocce di pioggia; e tutta quella oscurità carica di tuoni, si
allontanò come una ressa di carri terribili.
Improvvisamente
il cielo si fece azzurro.”
Anche se il
romantico autore, ritiene l’uomo, in ultima analisi, dominatore degli elementi
perché dotato di una volontà granitica, mentre la natura è caotica, anche lui
contempla l’abisso, non avendo la forza, anche se tentato, di spiegarne l’origine
ma “Vi dico, se questi taceranno, grideranno le pietre!” (Lc 19,29)
(Selezione
da: “I lavoratori del mare” di Victor Hugo)
(Carlo)