domenica 29 ottobre 2017

SPIRITUALITA'

Da: “I lavoratori del mare” di Victor Hugo
Anche se non del tutto consono al tono della sezione “Spiritualità”, ho ritenuto che questa descrizione della tempesta marina dell’agnostico autore Victor Hugo, implicitamente dichiari la potenza del Creatore e il Suo dominio sugli elementi. Vengono in mente subito le parole degli Apostoli in Marco 4,35: “Chi è Costui a cui il mare e i venti Gli obbediscono?”
I venti del largo
“Da quale parte vengono? Dall’incommensurabile. Alla loro ampiezza occorre il diametro dell’abisso. Le loro ali smisurate abbisognano dell’indefinita lontananza delle solitudini. L’Atlantico, il Pacifico, immense distese azzurre; questo è necessario a loro. Le rendono cupe, volandovi sopra a stormi. Il comandante Page una volta, in alto mare, ha visto contemporaneamente sette trombe marine. Sono là, truci, premeditano i disastri e il loro lavoro è il gonfiamento effimero ed eterno dei flutti. Si ignora ciò che possono, non si conosce ciò che vogliono: sono le sfingi dell’abisso e Gama è il loro Edipo. Nell’oscurità della distesa marina in continuo moto, appaiono in aspetto di nuvole. Chi scorge i loro lividi lineamenti nell’immensità dell’orizzonte marino, si sente in presenza di una forza irriducibile…I venti assalgono massacrando e si difendono dileguandosi…E’ mezzogiorno, e d’improvviso fa notte: passa un tornado. E’ mezzanotte e repentinamente fa giorno: si accende l’emanazione polare. Si alternano turbini in controsenso, specie di orrida tregenda, scalpitìo di flagelli sull’elemento. Una nuvola troppo pesante, si rompe nel mezzo e cade a pezzi sul mare; altre nubi cariche di porpora, rischiarano e brontolano, poi si abbuiano lugubremente. La nube vuotata dal fulmine, annerisce: è come un tizzone spento.
Sacchi di pioggia si squarciano, tramutandosi in nebbia. Lì una fornace nella quale piove; più in là un onda dalla quale sprizzano fiamme. I biancori dell’oceano sotto i nembi, illuminano lontananze sorprendenti…
La trepidazione del mare annunzia una spaventosa aspettazione. Inquietudine; angoscia; profondo terrore dei flutti. Poi, d’improvviso, l’uragano, come una belva, viene a dissetarsi all’oceano. Succhio inaudito; l’acqua sale verso la bocca invisibile, si forma una bolla, il tumore si gonfia: è la tromba marina… La vasta agitazione delle solitudini oceaniche, ha una gamma temibile <<crescendo>>; il turbine, la raffica, la burrasca, l’uragano, la procella, la tempesta, la tromba marina; le sette corde della lira dei venti, le sette note dell’abisso. Il cielo è larghezza, il mare rotondità. Un soffio passa: non c’è più niente di tutto questo; tutto è furia e confusione…
E’ lora delle tempeste. Il mare aspetta in silenzio.
Quando la tempesta autunnale o invernale ritarda, è segno che accumula forze: tesaurizza per la devastazione…Quando l’attesa è troppo lunga, il mare tradisce la sua impazienza con una calma più spiccata; però la tensione magnetica si palesa con quel fenomeno che si può definire “infiammazione dell’acqua”. Dai flutti escono bagliori; aria elettrica ed acqua fosforica.
Intanto i venti sopraggiungono di laggiù, dal largo, dalle inespugnabili latitudini, dal livido orizzonte delle solitudini, dal fondo della libertà illimitata…
Ecco ciò che si sente nell’oscurità, in lontananza, sopra l’attonito silenzio del mare…Il vento è molteplice, ma l’aria è una. Da ciò deriva che ogni uragano è misto: lo esige l’unità dell’aria. Tutto l’abisso partecipa ad una tempesta. Tutto l’oceano è in una burrasca; vi entra in combattimento e vi partecipa la totalità delle sue forze…
Il combattimento
Quel muro d’aria si ergeva tutto di un pezzo, in silenzio; nessuna ondulazione, nessuna increspatura, nessuna asperità che si deformasse o si spostasse. Quell’ìmmobilità  semovente era lugubre.
Il sole, illividito dietro una indefinibile trasparenza malsana, rischiarava quei lineamenti da apocalisse.
La nuvola invadeva già quasi la metà dello spazio; si sarebbe detto l’orrido altipiano dell’abisso. Era qualcosa come il sorgere di una montagna d’ombra fra la terra e il cielo…
Sull’orizzonte pesava e si distendeva una zona di nebbia color cenere e allo zenith, una zona color piombo; dalle nuvole pendevano stracci lividi sulle nebbie sottostanti; il fondo, muraglia di nubi, era scialbo, latteo, terreo, cupo, indescrivibile. Una sottile fascia di nuvole biancastre, diagonale, sopraggiunta non si sa da dove,  fendeva obliqua, da settentrione a mezzogiorno, l’alta e fosca muraglia. Una  delle estremità di questa fascia, rasentava il mare e nel punto in cui toccava i flutti, si scorgeva, tra il cupo spessore, un incerto vapore rossastro…Si era formato un soffitto nero e compatto che nel  lontano orizzonte giungeva al mare e si confondeva con esso nella notte. Si sentiva sopraggiungere qualcosa; qualcosa di ampio, di greve, di fosco. Le tenebre si addensavano. Un tuono immenso scoppiò all’improvviso…Il frastuono non fu accompagnato da alcun lampeggiamento: fu come un tuono nero. Tornò il silenzio. Si ebbe una specie di pausa, come quando si prende posizione. Poi apparvero successivi e lenti, grandi lampi informi; lampi muti, senza alcun brontolìo. Allo scoccar del lampo, tutto si illuminava. La muraglia di nuvole ora si trasformava in antro: aveva volte ed archi; vi si distinguevano profili; mostruose teste  si abbozzavano; sembrava che due colli si allungassero; si intravvedevano elefanti carichi delle loro torrette, che subito sparivano…
S’alzò il vento. L’attesa dell’ombra era al colmo: il primo scoppio di tuono aveva scosso il mare; il secondo squarciò la muraglia di nubi dall’alto al basso; si aprì una fenditura e tutto precipitò da essa; il crepaccio diventò come una bocca piena di pioggia e cominciò il vomito della tempesta. Il momento fu spaventoso.
Scrosci di pioggia, uragano, folgorazioni, ondate fino alle nubi, schiuma, scoppi, contorsioni frenetiche, urli rauchi e sibili: tutto contemporaneamente. Uno scatenarsi di mostri. Il vento soffiava turbinoso, la pioggia non cadeva ma precipitava… L’uragano aveva sferrato inabilmente l’attacco. Ma gli attacchi del vento, hanno direttive curve e c’era da aspettarsi qualche improvviso mutamento…
Il fragore dell’uragano cresceva. Ogni tempesta è un succedersi di colpi: questa è la sua forza ma anche la sua debolezza, perché tale implacabile rabbia, offre incentivi all’intelligenza e l’uomo si difende. Ma sotto quale pressione! Niente di più mostruoso. Nessun ritegno, nessuna pausa, nessuna tregua, nessuna sosta per lasciar trarre il respiro; in questa prodigalità dell’inesauribile, è una certa quale viltà; vi si sente l’afflato del polmone dell’infinito. Le spirali indefinite e fuggenti del vento sibilavano, travolgendo i flutti; le onde tramutate in giganteschi dischi sotto quei vortici, venivano lanciate contro le rocce come da invisibili atleti.
Un’abbondantissima schiuma ricopriva tutti gli scogli: torrenti in alto e bave in basso. Poi i muggiti raddoppiavano. Nessun suono umano o bestiale ululato potrebbe dare un’idea del frastuono che accompagnava il sommovimento dei flutti. Le nuvole cannoneggiavano, la grandine mitragliava, le onde muovevano all’assalto. Certe zone parevano immobili; su altre il vento percorreva venti tese al secondo.
Il mare, fin dove poteva arrivare l’occhio, era bianco: dieci leghe d’acqua insaponata riempivano l’orizzonte…Un acquazzone incommensurabile cadeva a dirotto. Si sentivano in cielo, di tanto in tanto, scariche di moschetteria. Nel mezzo del tetto d’ombra, v’era una specie di ampia gerla capovolta, dalla quale cadevano confusamente, la tromba marina, la grandine, la nebbia, le folgori, la notte, la luce, i frastuoni, i lampi: tanto sono formidabili questi rivolgimenti dell’abisso…Intorno a lui (Gilliatt)il tumulto dei flutti sembrava quello d’una caldaia in ebollizione; enorme il frastuono;  pareva talvolta che il fulmine rotolasse per le scale. Le saette cadevano senza tregua, sempre sulle punte dei medesimi scogli, perché probabilmente venate di diorite. Cadevano chicchi di grandine grossi come pugni; Gilliatt doveva scuoterli dalle pieghe della sua casacca e perfino le sue tasche ne erano piene…
L’uragano aveva raggiunto il parossismo. Fino a quel momento la tempesta era stata terribile; da allora diventò orrenda. La convulsione del mare giunse al cielo. La nuvolaglia, fino a quell’istante, era stata padrona assoluta; pareva agisse dispoticamente: dava l’impulso, versava la follia sulle onde, mantenendo al tempo stesso una certa qual sinistra lucidità. In basso regnava la follia, in alto la collera. Il cielo è il soffio, l’oceano è la schiuma; da ciò deriva la supremazia del vento. L’uragano è genio…Le nubi, terribili, modellavano nell’immensità, maschere di gorgone. Tutto il possibile apparato d’intimidazione, si metteva in mostra. La pioggia veniva dalle onde, la schiuma dalle nubi. Fantasmi di vento si curvavano; volti di meteore s’imporporavano e si eclissavano e l’oscurità, dopo il loro dileguarsi, appariva mostruosa…
Le violenze supreme disorganizzano la tempesta ; tutti i marinai lo sanno: l’ultima prova è aspra ma breve e l’infierire del fulmine è l’annunzio della fine. Ad un tratto la pioggia smise. Poi restò soltanto un rabbioso tumultuar di nebbia. L’uragano si fermò, come un’asse che cada a terra; per così dire, si ruppe. L’immenso groviglio di nuvole si disfece e uno squarcio di cielo sereno aprì le tenebre…La tempesta era durata circa venti ore. Il vento che l’aveva portata, la riportà via. Un ammassarsi di oscurità diffusa, ingombrò l’orizzonte. Le nubi scompigliate ed in rotta, si accumularono confusamente, tumultuando.  Da un capo all’altro della linea delle nubi si ebbe un movimento di ritirata. Si sentì un lungo brontolio decrescente; caddero le ultime gocce di pioggia; e tutta quella oscurità carica di tuoni, si allontanò come una ressa di carri terribili.
Improvvisamente il cielo si fece azzurro.”

Anche se il romantico autore, ritiene l’uomo, in ultima analisi, dominatore degli elementi perché dotato di una volontà granitica, mentre la natura è caotica, anche lui contempla l’abisso, non avendo la forza, anche se tentato, di spiegarne l’origine ma “Vi dico, se questi taceranno, grideranno le pietre!” (Lc 19,29)
(Selezione da: “I lavoratori del mare” di Victor Hugo)

(Carlo)

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