sabato 23 ottobre 2010

SPIRITUALITA'

Perché proprio a me? Una risposta cristiana al dolore


Nel corso della sua vita, il problema del dolore non tarda a presentarsi ad ogni uomo il quale, necessariamente, affrontandolo, è costretto a domandarsi il perché. Infatti, quale senso ha il soffrire, quando tutto il nostro organismo è teso con tutte le sue fibre a sfuggirlo?
Non “siamo fatti per soffrire” come vorrebbe il vecchio adagio; piuttosto siamo stati creati per la gioia, poiché il dono di Dio, eterno Amore, Essenza ineguagliabile d’amore, ci aveva voluti partecipi della gioia divina, quella gioia inesprimibile che “sazia ogni vivente” .
Sappiamo tutti, noi cristiani, che a rompere l’incanto sia stato il nostro rifiuto di Dio, nostro Benefattore, perché la nostra vanità, la nostra superbia, sobillata dall’antico e, purtroppo attuale nemico, ci ha fatto compiere l’orrendo peccato, generato dal nefasto desiderio di sostituirci al Creatore. Se ci professiamo cristiani, conosciamo quindi l’origine del male, la lotta contro di esso e la vittoria, operata da Gesù Cristo con la Sua Passione, Morte e Resurrezione.
Quando il male, in ogni sua forma, ci colpisce, lungi dal chiederci : “ma perché proprio a me?”, come se il colpo arrivasse alla cieca e si rovesciasse sul malcapitato di turno, senza alcun motivo o scopo. Ragionare così, significa non tener conto di un Dio, Padre amorevole, e non avere nessuna considerazione per Lui, ritenendoLo lontano, nel migliore dei modi estraneo, assente dalla nostra sofferenza, addirittura insensibile alle tempeste che si agitano su questa nostra esistenza.
Ma niente di più sbagliato e più estraneo alla figura paterna di Dio !
Dice la Sacra Scrittura (ispirata direttamente dallo Spirito Santo) che i piani di Dio sovrastano quelli degli uomini tanto quanta è la distanza tra il cielo e la terra. Questo, per presentare al nostro sguardo limitato, l’evolversi della nostra vita, alla quale applicare una valutazione diversa da quella comune, il cui connotato è necessariamente la miopia.
Dio Padre, come ripeterò fino all’estremo, è un Padre amorevole che non abbandona l’uomo anche quando la sua stoltezza lo conduce sull’orlo dell’abisso, ha pietà della Sua creatura, privata all’improvviso di tutti i suoi doni preternaturali, e concepisce un piano per salvalo, promettendo una Donna, una Vergine, acerrima nemica della stirpe di colui che ha voluto perdere l’uomo, e annuncia un Salvatore che nascerà da Lei, il quale avrebbe annullato, con la Sua divina espiazione, l’effetto del terribile peccato.
L’uomo non poteva, da solo, compiere la necessaria riparazione, per questo era indispensabile una Persona, la cui dignità fosse pari a quella dell’Essere offeso. Infatti, il peccato commesso, aveva una portata infinita e nessun uomo avrebbe potuto ripararlo.
L’Amore infinito di Dio, risolse il problema: lo stesso Figlio di Dio discese dal Cielo e assunse il ruolo di uomo, pur conservando la Sua natura divina. Dopo una vita trascorsa tra sofferenza e incomprensione, sul Calvario, nel più puro e colossale martirio, offrì tutto Sé Stesso in un infinito abbraccio universale. Il Suo Cuore, squarciato dalla lancia dell’odio e della violenza, si aprì per l’eternità, a riversare sul dolore e sulle sofferenze di tutti gli uomini di ogni tempo, i tesori infiniti della Salvezza e della Redenzione. Sulla Croce Egli prese sopra di Sé tutti i peccati del mondo offrendosi in riscatto per tutti gli uomini, nella santità del Suo Corpo e del Suo Spirito; l’Amore universale di Dio si unì al dolore universale dell’intera umanità. Dio ha accettato questa offerta dalle mani di Suo Figlio e l’accesso al Paradiso è tornato possibile grazie al sacrificio di Gesù.
Dio dunque, sulla Croce, santificò il dolore arricchendolo di grandi meriti.
Quindi, Dio è presente e segue ogni atto dell’uomo, vegliando su di lui e additandogli la via per metterlo in sintonia col Divino. Egli ci insegna la strada, in vario modo, servendosi di ogni occasione, di ogni persona, di ogni avvenimento lieto o triste che sia, di ogni dolore che ci arriva improvviso, lasciandoci attoniti. E questa sorpresa è una scossa per risvegliarci da un lungo sopore che ci stava portando, ignari, lontano dal Suo Amore.
Lui non è direttamente responsabile di questo dolore, ma si serve di questo dolore, creato da noi stessi o dal nemico comune, per farci riflettere sulla nostra vita, probabilmente vissuta nella dimenticanza di Dio.
Nei Vangeli viene sempre descritta la sollecitudine di Gesù per chi soffre, e tutta la Sua vita pubblica è impiegata in gran parte nell’effettuare guarigioni fisiche e spirituali. Gesù, prima di guarire, pretendeva sempre che le persone avessero fiducia in Lui. L’atteggiamento del Signore è stato sempre quello di una profonda compassione; quando incontra la vedova di Naim, mentre conduce alla sepoltura l’unico figlio, “sentì compassione di lei” (Lc 7,13) e opera il miracolo della risurrezione. Guardando la numerosa folla che lo seguiva Gesù “si impietosì di loro perché erano come pecore senza pastore” (Mt 6,34), e moltiplicò i pani. Davanti alla tomba di Lazzaro “fremette nel Suo Spirito e si turbò” (Gv 11,33) e avvenne la risurrezione. Vedendo il nato cieco a Gerico “si impietosì” (Mc 10,51), e lo risanò. E davanti al lebbroso insistente “impietositosi, stesa la mano, lo toccò” (Mc 1,41), e lui fu mondato.
Però Gesù, non compie sempre il miracolo, ma a tutti, indistintamente, accorda la grazia del conforto e della rassegnazione. Egli vuole dimostrare che il dolore non è soltanto un castigo, ma può essere una missione, un inestimabile tesoro, un mezzo prezioso attraverso il quale Dio attua i Suoi fini di redenzione del mondo. Così la Croce, diventa il segno della Redenzione, la sintesi del Vangelo, Salvezza che è operata nella sofferenza.
In questo modo i sofferenti sono i veri protagonisti nella storia della Salvezza, e non hanno il diritto di sentirsi inutili.
Quando gli Apostoli, chiedono a Gesù di insegnare loro a pregare,Egli propone il Padre Nostro che contiene l’abbandono alla volontà del Padre, quella volontà che ha reso possibile l’Incarnazione. Nella volontà di Dio, vi è la ragione e la causa di tutto. Noi siamo liberi di decidere, ma la nostra decisione spesso è condizionata dagli avvenimenti, per lo più imprevedibili, che costellano la nostra esistenza. Quando riceviamo ciò che non abbiamo desiderato, accettiamolo come manifestazione della volontà di Dio, credendo che non è senza motivo che Egli ce lo invia.
Un Dio che ha donato la Sua vita per impedirci di soffrire in eterno, potrebbe oggi, farci soffrire per un fine inutile o crudele? Del resto Dio è Bontà, Santità,Giustizia, Sapienza infinite.
L’uomo commette il peccato, ma Dio si serve anche delle azioni cattive e del peccato stesso, per attuare i Suoi disegni di bontà e di salvezza. Il fine ultimo di Dio, è sempre il bene dell’uomo!
Non turbarti quindi, nelle avversità,esse sono destinate a produrre frutti di salvezza che ancora non conosci, ma che Dio ha già pensato per te. Questa tua sofferenza è accuratamente proporzionata alla tua sopportazione, ai tuoi bisogni, alla Sapienza infinita che ha segnato, con calcolo preciso, la durata e i limiti precisi. E tutto questo, perché Dio vuole la nostra santità.
Prova subito, incomincia a valorizzare la sofferenza di oggi, senza lamentarti, o lamentandoti meno; a fare buon viso a quelle persona antipatica che ti viene a trovare, a reprimere alcuni moti di avversione o rancore, a non brontolare, a non pretendere etc. Vedi in tutte le persone e in tutte le cose, le provvidenziali messaggere della volontà divina.
Tutto questo, ti preparerà a vittorie superiori ed imparerai ad acconsentire con gioia alla volontà di Dio e sarai diventato, senza accorgertene, un Santo!
Infatti non sono le avversità, che ti rendono infelice, quanto la tua impazienza che nasce da una volontà ancora ribelle. Capirai allora, che quando sopporterai tutto per amore, Gesù si farà nostro compagno di viaggio e porterà il peso per noi; “…il mio carico è leggero..” ( Mt 11,30).
Il mistero del dolore è grande, ma non è assurdo. Dio solo conosce il motivo della presenza del male nel mondo e non ci chiede di discutere, ma solo di accettare, di credere, di avere fiducia. Dio esige dall’uomo un atto di fiducia, punto iniziale e imprescindibile per ottenere un merito. Se riuscissimo a conoscere perfettamente questo mistero, non saremmo più nel campo della Fede, ma in quello della Contemplazione, come se già ci trovassimo nell’altra vita!
Quindi, o si crede che tutto ciò sia frutto di una razionalità che appartiene solo a Dio, e il suo frutto sarà la rassegnazione, o ci si ribella, e il suo frutto sarà la disperazione!
(Sintesi ed elaborazione da “Per soffrire meglio….” di N.Pederzini)

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