giovedì 4 aprile 2013

SPIRITUALITA'

Apocalisse ? Tanta fede e tanta speranza.— Una sequela di imprevisti ci fece interrompere la navigazione e cercare un’ansa ove approdare, dopo una serie di bordeggi piuttosto rischiosi anche per esperti uomini di mare. E al primo chiarore dell’alba, respirammo con gli occhi una bellezza rocciosa ed arida: l’isola di Patmos ci stava innanzi con tutta la varietà di scogli, con frastagliate sequenze di baie e di piccole radure e promontori. Scala è il porto presso il quale attraccammo e, nel discendere a terra, un’enorme fascia di color bianco latteo ci colpì. Qui tutto è immacolato: le case, i poggioli, le piazzette, le mura turrite del monastero ove S.Giovanni dettò il suo Vangelo e il libro dell’Apocalisse a Procoro, suo allievo prediletto. Tutt’intorno non c’era alcun rumore, se non il ritmato scalpiccio di un paio di somarelli, condotti a mano da uomini dal viso rugoso, arso dalla salsedine, i quali ci vennero incontro e ci invitarono ad approfittare dei loro servigi per raggiungere la cima della collina. Qualcuno non esitò a sperimentare questo antichissimo mezzo di trasporto, ma noi, dopo giorni e notti di poco felici rullii e beccheggi, preferimmo affidarci alla forza delle nostre gambe e ci avventurammo lungo sentieri e scorciatoie alla conquista della vetta. Certo, non fu una scalata di 6° grado, ma quando giungemmo al cancello del convento, il nostro cuore aveva un battito alquanto accelerato. La grezza costruzione, squadrata e ad angoli vivi, migliorò alla nostra entrata, dato che fioriti terrazzi pensili collegano le varie parti del convento e ogni angolo conserva testimonianze del teologo S.Giovanni: il posto dove poggiava la testa, quello dove dettava al discepolo, la triplice fessura della roccia, attraverso la quale udì la voce squillante di una tromba. Un frate ci introdusse lungo una strettoia che immetteva nel cortile ornato da arcate e cominciò ad illustrarci, in perfetto italiano, tutto ciò che ai nostri occhi appariva meritevole di chiarimenti. La chiesa principale, costruita con e sui frammenti di una chiesa già esistente, alcuni affreschi che illustravano i viaggi e i miracoli di S.Giovanni, la cappella dedicata al beato Cristòdulo, fondatore di questo convento ove l’iconostasi è ornato da tre ikone, raffiguranti Gesù Cristo, la Vergine Immacolata e il beato. Nella parte sud, vi è una nicchia ove è posto il sarcofago di marmo sopra il quale si trova il cofano contenente le spoglie del Beato Cristòdulo. L’ikona di S.Giovanni è il palladio del convento, la sua aureola e il suo Vangelo sono in argento con incrostazioni smaltate. Una grande ikona dell’Apocalisse, nasconde l’entrata alla stanza del tesoro ove sono conservati libri, vesti liturgiche, croci, medaglioni, mitrie, candelieri, lampade e turiboli. Il nostro cicerone fu ricco di particolari e si dedicò alla nostra curiosità con una pazienza davvero certosina; ci condusse a visitare la cappella della Vergine, il refettorio e la biblioteca. Quest’ultima è una delle più importanti dell’oriente. Contiene manoscritti in pergamena e in carta antica e più di 200 testi antichi. Negli archivi esistono oltre 13.000 documenti riguardanti i nove secoli della storia del convento e una serie di miniature ripercorre, senza interruzione, un periodo di sei secoli. Il nostro giro all’interno del convento, si concluse con la visita alle antiche celle ed infine sbucammo su di un tetto a terrazza merlata, da dove il nostro occhio scorse un’immagine del mare e dell’isola in tutta la loro grandezza. Fu un’emozione imperitura: il sole stava calando all’orizzonte, tutt’intorno ogni cosa cambiava colore nel giro di secondi: dal giallo oro al porpora; la superficie del mare e le lastricate vie conducenti al molo, sembravano aprirsi davanti a noi, in un silenzio immenso e tutti restammo muti; forse solo così provammo veramente un sentimento di solitudine. Scendemmo la collina a passo svelto e respirammo quella patetica e dolce atmosfera che accompagna l’arrivo della sera. Per mezzo della scaletta mobile risalimmo a bordo; la cupa voce del mare, sottolineava l’esistenza della vita, ritornammo a fissare l’isola e, come in un lampo, l’immagine dell’Apocalisse, annebbiò la nostra vista. Ci parve udire un suono di tromba che diceva: “Io sono l’Alfa e l’Omega, ciò che tu vedi, scrivilo e mandalo alle sette chiese.” (Ap 1,9) ed invece altro non era che la sirena della nostra nave che salutava Patmos e levava le ancore per il mare aperto. No, non è proprio possibile che proprio in un luogo così incantato, si sia potuta predire la fine dell’Umanità! E’ naturale che oggi la paura di una guerra nucleare, sia assai viva anche se, col passare del tempo, a tutto si dà meno importanza. La vita in apparenza passa, o meglio vola via, sempre uguale, le stagioni si alternano da secoli; la notte segue sempre il giorno e così via. Ma se pensiamo al libro di S.Giovanni si legge il versetto: “Afferrò il dragone, il serpente antico, cioè il diavolo,satana, e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell’abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui…Quando i mille anni saranno compiuti, satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le Nazioni ai quattro punti della Terra…”(Ap 20,2-8). Per noi c’è e vive sempre la speranza, quella che l’Autore dell’Apocalisse scrive nel libro sacro e che vuol essere un messaggio di consolazione e di incoraggiamento per le Chiese e con essa le genti tormentate ed oppresse. E qui rifiorisce la nostra fede, perché vogliamo ancora sperare che la terra abbia a dare i frutti, che le vigne diano il buon vino, che il sole scaldi il nostro pianeta, che il fiore sbocci per gli occhi, che il profumo si diffonda per l’olfatto, che la musica allieti l’udito, che il cuore batta per l’amore e che il cattivo possa diventare buono. Ed anche se è scritto che un giorno debba essere Apocalisse, cerchiamo almeno che essa non sia preceduta da immani sofferenze, dipendenti dalla stoltezza e stupidità degli uomini.— Maria Teresa S.

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