(Continua la
pubblicazione del Calendario legionario 2016; mese di febbraio):
LA
RISURREZIONE
La
Risurrezione è un fatto storico e scientifico, ricostruibile nella sua
dinamica. Nel racconto della sepoltura, tutti i Vangeli si completano a vicenda
e le tracce di questo avvenimento unico, sono descritti dai segnali posti nel
sepolcro. Complessivamente, dal Vangelo
di Giovanni, risultano cinque tracce che provano storicamente la Risurrezione
di Gesù. Quando Pietro e Giovanni
entrarono nel sepolcro videro che:
-Il corpo di
Gesù non c’era
-Gli aromi erano tutti
volatilizzati
-Le tele
erano completamente asciutte
-Le fasce
erano vuote e distese sulla pietra sepolcrale
-Il sudario
era rimasto rialzato in una posizione unica, irripetibile benché non fosse più
sostenuto (Storia libera)
Inoltre, nel
Vangelo di Luca (Lc 24,22-24) relativo ai discepoli di Emmaus, si dice: “Alcuni
dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne,
ma Lui non l’hanno visto.”
Nel dire
“alcuni dei nostri”, Luca specifica che Pietro non è andato da solo, ma
qualcuno lo ha accompagnato e ha verificato. Il compagno di Pietro è Giovanni,
come risulta in Gv 20,3.
Questo
doppio riscontro incrociato di due fonti indipendenti come Luca e Giovanni, è
un forte indizio di storicità dell’episodio.
Inoltre, in Matteo (Mt28,5), l’Angelo chiede alle donne di guardare con
attenzione dentro al sepolcro “il luogo ove era stato deposto”, non certo per
mostrare loro che Gesù non c’era più, visto che lo aveva appena annunciato;
evidentemente perché qualcosa che si trovava
nel sepolcro, costituiva la prova concreta della Risurrezione di Gesù. Le donne però, non osservano bene, perché
sono troppo spaventate e desiderose di allontanarsi, per andare a riferire gli avvenimenti.
UN “DOSSIER”
SULLA PASSIONE
“La condanna
di Gesù, eseguita dai romani, è stata recentemente ricostruita nei più
minuti particolari, dall’esame
medico-legale di un singolare “corpo del delitto” pervenutoci: il lenzuolo che
ne avvolse il cadavere insanguinato.
Oltre 120, i
colpi tripli di flagello taxillato (tre
strisce di cuoio appesantite da due pallottoline acuminate) che hanno colpito e
lacerato ferocemente, le spalle, i glutei, i polpacci, le braccia e tutta la
parte anteriore del corpo dell’Uomo, legato ad una colonna, col dorso ad angolo
retto rispetto agli arti inferiori, durante il terribile castigo che venne
comminato ad opera di due soldati.
Un casco
di spine lunghe 3-4 centimetri, calcato malamente sul capo, ripetutamente
percosso, ha lacerato il cuoio capelluto della nuca, della calotta cranica e
della fronte, rigandone il volto di sangue.
Una trave
del peso di 30-40 Kg, assicurata obliquamente dietro le spalle del condannato,
con le braccia in adduzione, da una fune legata poi alla caviglia sinistra,
rendeva stentato il passo, vacillante e ridicola l’andatura assai curva,
provocando inevitabili cadute di schianto, faccia in giù; il volto sfigurato da grosse echimosi,
la rottura del setto nasale e una lacerazione di ben 2,5 centimetri nella
contusione del ginocchio sinistro, le tracce della fune sulla gamba sinistra e molti altri particolari, ci documentano-
visibilmente- tutte le sequenze del tragico percorso. Le piaghe delle spalle
(la destra in particolare) e degli avambracci, rivelano di essere state
riaperte per un brusco strappo delle
vesti avvenuto sul luogo
dell’esecuzione.
Tre
lunghi chiodi, due nel carpo delle mani (spazio di Destot) e uno nel
secondo spazio metatarsale dei piedi sovrapposti, il sinistro sul destro, hanno
conficcato quel corpo vivo, prima alla trave orizzontale (patibulum)
poi a quella
verticale (stipes), provocando dolori lancinanti e facendo uscire altro sangue
che, nel defluire, ha segnato direzioni ben precise, rivelatrici oggi, dei
movimenti spasmodici di accasciamento e di sollevamento di quell’Agonizzante
che cercava di evitare la morte per
asfissia e consegnare ancora ai Suoi le parole estreme.
Tutto rosso,
la pelle ricoperta di coaguli di sangue, appariva quell’Uomo, già bello e
rinomato, inchiodato alla croce come malfattore, Gesù di Nazareth è morto dopo
tre ore di agonia, in posizione di sollevamento, avendo reclinato il capo; la
rigidità cadaverica Lo ha fissato così.
Uno
squarcio, largo 4 centimetri, dovuto ad un colpo di lancia, vibrato tra la
5° e la 6° costola destra e giunto fino al cuore, faceva fuoriuscire ancora
sangue già raccoltosi nella borsa pericardica, distinto nei due elementi
costitutivi: parte corpuscolato in basso (ha il peso specifico maggiore) e
siero.
Persino
l’impronta di una mano d’uomo in posizione contratta per il peso morto che
sosteneva, è rimasta impressa sul tallone sinistro, durante il suo trasporto
verso il sepolcro.
Trentasei
ore di contatto del lenzuolo funebre col cadavere insanguinato, scandirono la
maturazione precisa della fibrinolisi che ci ha
regalato “il film” più fedele e sconvolgente della più ingiusta condanna
capitale della storia umana. “ (C.P.)
RAGIONI A
FAVORE DELL’AUTENTICITA’
Le impronte
umane della Sindone sono veramente di un corpo umano. Esse non sono un dipinto;
infatti, fino ad ora, nessuno è stato in grado di dimostrarlo. La Sindone è
stata gelosamente custodita e protetta fin dal 1353. Si dovrebbe concludere che
l’eventuale pittura risalga anteriormente a quell’anno. Ma l’immagine sindonica
è un negativo fotografico perfetto e a quell’epoca non era né possibile né
concepibile realizzarlo.
“Quel corpo è uscito dal lenzuolo senza strappo dei
coaguli ematici, cioè senza movimento, senza spostarsi, come passando
attraverso il lenzuolo. Infine le tracce scritte in greco, latino ed ebraico,
impresse per sovrapposizione sul lenzuolo. Barbara Frale ha dedicato un libro
al loro studio: “La Sindone di Gesù Nazareno”. Da quelle lettere emerge il nome
di Gesù, la parola Nazareno, l’espressione latina “innecem” relativa ai condannati
a morte e pure il mese in cui il corpo poteva essere restituito alla famiglia.
La Frale, dopo accuratissimi esami, mostra che doveva trattarsi dei documenti
burocratici dell’esecuzione e della sepoltura di Gesù di Nazareth. Un fatto
storico. Un avvenimento accaduto che ha cambiato tutto.” (A.Socci
(Carlo)
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