martedì 25 marzo 2014

SPIRITUALITA'



                                          La settimana Santa e le sue tradizioni.-
La Quaresima è un cammino, un percorso fatto di intense preghiere, Via Crucis,  ore di adorazione e
che ci preparano alla S. Pasqua. Ma prima di giungere a quel festoso giorno di resurrezione, c'è
la domenica delle palme. Per noi, bimbi degli anni 50, la cosa più importante da possedere era quell'intreccio di palma bianca ornata da nastri e dolci canestrelli , con la quale ci recavamo alla S. Messa orgogliosi di confrontarla con i vicini di panca per vedere chi l'aveva più alta e più  bella.
Poi quel profumo d'olivo che si spandeva nell'aria e che si faceva  più intenso tra le mura della chiesa, e che sembrava non dovesse mai svanire, assieme a quel frusciare di foglie ,le une contro le altre, che accompagnava, dopo aver bussato alla  porta, l'entrata del sacerdote nella casa del Signore e somigliava ad  un alito di vento che serpeggiava tra la folla.
Quelle palme benedette, non le più grandi, naturalmente, erano poi poste a capo del letto unitamente alla candela ricevuta il 2 di febbraio nel giorno della Candelora, le altre erano sistemate sugli stipiti delle porte o sull'ingresso delle stalle perché, si diceva propiziassero abbondanza di latte per tutto l'anno e fertili raccolti.
Poi c'era il Giovedì Santo ed era  quello, un giorno di peregrinazione. Terminata la Messa in  “Cena Domini” le case si svuotavano, tutti uscivano in strada, ed aveva inizio il pellegrinaggio da una chiesa all'altra. Ogni famiglia aveva programmato l'itinerario da seguire per la visita  ai “sepolcri”e
che di solito erano sette. C'era più traffico quel giorno per le strade del paese di non quanto se ne riscontrava in tutto il periodo invernale. Le persone si rincontravano dopo un anno, era un riconoscersi e scambiarsi quel saluto simile ad un augurio, di buona salute, visto che, trascorsi 365
giorni, erano ancora lì, inginocchiati, a rendere omaggio a Nostro Signore. Per i bimbi, osservare
tutte quelle raffigurazioni religiose era come scoprire sempre qualcosa di nuovo: i temi del Vangelo dipinti con i gessi colorati, il tappeto di germogli di grano che con tanta cura le donne avevano coltivato e conservato al buio per tanti giorni, la bellezza nell'accostamento dei colori dei fiori, i cuscini formati da fiocchi di lana immersi in miscela di caffè, se erano di color marrone, o tinti di verde se imbevuti di erbe di campo, o rosa se conservati sotto peso con i petali di rose. Quanta fatica nel fare tutto ciò! Ed  il segreto di come farla nessuno è riuscito mai a scoprire.  Per visitarli tutti e sette  occorreva l'intera giornata, interrotta soltanto dalla Processione gestita dalla confraternita di Santa Caterina, con l'esposizione della statua del Cristo morto, e si tornava a casa a sera inoltrata, stanchi e con i piedi doloranti.
Il giorno dopo, Venerdì Santo, le chiese erano spoglie, ne fiori, ne tovaglie, ne candele accese, il tabernacolo era vuoto e le campane erano mute. In giro per il paese, un giovane con in mano una tavola di legno cui  erano inchiodate due grosse maniglie di ferro, percorreva le strade  ruotando quel tavolato dal quale usciva un rumore sordo, e ricordava ad alta voce, che l'orologio del campanile non suonava, ma il mezzogiorno era arrivato. Le attività manuali quel giorno si fermavano: il pescatore non saliva in barca, il calzolaio chiudeva l'uscio della sua bottega, il panettiere non infornava pane, i cinema non programmavano film.
Sul desco di ogni famiglia appariva solo la “panissa”, una polenta di ceci che veniva condita con olio e cipolla, e erbe di campo raccolte il giorno prima. 
Ma all'alba del sabato c'era nell'aria qualcosa di nuovo. Gesù non era ancora risorto, ma i volti di tutti sembravano più distesi, le raccomandazioni per noi bimbi erano quelle di non restare troppo con i piedi nell'acqua. Perché tutto ciò? Perché alle ore 11,  al primo rintocco delle  campane, finalmente slegate, lasciate le scarpe sul muretto, si correva tutti al mare, e con urla di gioia ci si bagnava il viso e gli occhi: era un'usanza che significava ,che grazie all'acqua salata del mare avremmo visto con occhi nuovi la vita cui andavamo incontro dal giorno dopo.
Ed il giorno dopo era Resurrezione. Un mattino bellissimo, perché dopo i giorni di silenzio ci si accorgeva che la fede era gioia, felicità e luce. Quando poi la Pasqua  capitava ad aprile inoltrato, alle bambine  era concesso  di sfoggiare il primo abitino primaverile ed anche se, quasi sempre, il farlo causava un bellissimo raffreddore, la soddisfazione di indossarlo era tanta.
D'accordo c'era l'uovo di cioccolato con la sorpresa, c'era da assaggiare il canestrello che era stato
benedetto insieme alla palma, c'era da gustare quella fetta di castagnaccio che indicava la fine dell'inverno, ma c'era anche l'attesa del giorno dopo: il lunedì dell'Angelo, che portava con se, la gita in campagna, la passeggiata sui sentieri collinari, con quel mangiare al sacco, che altro non era che un panino con il salame e qualche baccello di fave o piselli  ed un paio di  frittelle di mele, ma per i ragazzi ed  i giovinetti era  anche avere la possibilità di fare i primi scherzi alle fanciulle che mai avevano potuto prima avvicinare. C'è un replay, nei miei ricordi, che torna ogni volta a dirmi
di quanta nostalgia ho di quei tempi, ma so pure che non si deve avere paura del nuovo. La riforma liturgica del 1956, ha cambiato l'ordine ed i  tempi delle celebrazioni,il giovedì, il venerdì, il sabato sono giorni del percorso di un cammino che porta alla  letizia ed all'esplosione della  gloria di Nostro Signore. Ed il suono delle campane che a distesa chiameranno i fedeli alla prossima S. Pasqua, varranno a disperdere l'odio che c'è nel mondo, a sospendere le guerre,  rinnoveranno l'invito ad avere ancora quella speranza  che da silenziosa deve diventare forte e rumorosa affinché tutti possano ascoltarla  e poi viverla senza paura? Noi ci crediamo. Buona  Pasqua.

                              Maria Teresa S.

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