Bell'Italia
: tra natura e poesia.-
Le
nebbie non sono ancora svanite
completamente anche se il sole è già alto. Il tergicristallo cigola
ritmicamente sul parabrezza, l'umidità di questa valle è proverbiale, favorita peraltro
dal sobbollire del terreno di tutta la zona termale.
In
un gioco di marce, l'auto percorre la lieve salita del colle, 5 km. sono
sufficienti a far sì che, raggiunto il poggio, la coltre di bianca nebbia si
dissolva, ed Arquà Petrarca ti appaia in tutta la sua straordinaria oasi di
pace. Il piccolo borgo di case chiare è ancora intatto, fermo nel tempo e con
un lentissimo ritmo di vita che desta nel visitatore un ricordo di terre
lontane, reminiscenze di giovanili letture. L'abitato si raccoglie intorno ad
una erta via fatta di mattoni rossi, quasi un pavé ove le fessure tra sasso e sasso testimoniano quanto il
tempo e lo scorrere delle acque piovane abbiano lavorato per separare le une
dalle altre.
Lasciata
l'auto presso la piccola piazza, con naturalezza inspiri profondamente quasi ad
immagazzinare nei polmoni ossigeno per il proseguo della salita. Un paio di
case contadinesche occhieggiano mimetizzate tra muri e cancellate, il verde non
è molto, qualche macchia, e cosa che sorprende, qualche castagno che si erge
più in alto di tutti gli altri alberi.
Uno
scompaginato nucleo bandistico, in piazza, suona una marcetta militare, è
giorno di festa.
Un
trombone, un tamburo, un clarino, una trombetta, è tutto. Le divise pur pulite
denunciano gli anni, i bottoni trovano asilo nelle asole con facilità, i
fiocchi e le trine dorate hanno perduto in lucentezza. Comunque si avverte,
senza retorica alcuna ed in ogni momento, quello spirito di solidarietà che
anima le piccole comunità non ancora contagiate dagli egoismi della società
consumistica dei giorni d'oggi. Tra questi colli si sente in modo tangibile che
ciascuno è sempre pronto ad aiutare gli altri: e ciò è molto importante.
Ed
in aiuto ci viene subito e spontaneamente la custode della casa-museo ove Petrarca
visse gli ultimi suoi anni: si ritirò infatti in Arquà nel 1370, dopo una vita
intensa, fatta di viaggi, studi, lavori letterari, politici, e mondani.
Attraverso un piccolo giardino, il cui sentiero porta alla loggia che immette
all'ingresso della casetta, entriamo per visitare il piano terra
dell'abitazione. E' la parte dove il poeta passava ben poco tempo trattandosi
di una ampia cucina ed ove avvenivano gli incontri con i contadini che
discutevano sui raccolti dei terreni adiacenti. Al centro è disposto un grande
tavolo a vetrina ove sono raccolte le prime ristampe delle sue epistole
metriche, un'antica edizione del poema latino:” l'Africa”, che celebra le gesta
di Scipione durante la seconda guerra punica, ed opere di rara erudizione, di
alta meditazione e morale, oltre che scritti sulla politica di quel tempo cui
partecipava col cuore e con il pensiero. Si scorge una copia riprodotta del
“Secretum” ove dialoga con S.Agostino alla presenza di una donna muta che
raffigura la Verità. Quei 3 libri scritti tra il 1347 e il 1353, che trattano nel primo il “male” in generale
ed ove figura la sua malattia come la “voluptas dolendi.” Nel secondo le sue
passioni, ovvero l'accidia che lo tormenta. Nel terzo l'amore per Laura e la
gloria considerata la colpa che gli impedisce di raggiungere l'equilibrio
spirituale.
Laura
è paragonata al lauro, simbolo di vittoria poetica e gioca sul nome Laura
scambiandolo con l'aura nel sonetto:”Erano i capei d'oro a l'aura sparsi.”
Varie sono comunque le edizioni del
“Canzoniere”, le liriche che cantano
l'amore per Laura e ne narrano la sua splendente ed incorruttibile bellezza.
Conobbe questa dama ad Avignone, allora sposa di Ugo de Sade, e ne seppe
apprezzare gli ardori, le speranze, i sorrisi, i rotti sospiri, le dolci lacrime
e gli scoraggiati abbandoni. Nella sua poesia c'è un'arte di rara potenza che
però fece dell'irrequieto Petrarca un
insoddisfatto della vita, combattuto tra le abitudini mondane ed il desiderio
di solitudine.
Quella
solitudine che lui cercò e trovò in
questo borgo padovano e che scopriamo ancor più quando saliamo al piano
superiore di questa villetta ove è
visitabile la sua camera , oggi disadorna,
anche se una pregevole trifora che guarda il giardino sottostante basta
a rendere ricco questo ambiente, e dove una sala rettangolare, con un soffitto
a cassettoni, rifatto dopo la morte del poeta, si apre ad una finestra con vetri cattedrali,
spessissimi, congiunti tra loro in lega di piombo, di un intenso color blu, e che fanno intravedere i filari di viti
lungo le fasce collinari sottostanti.
Nell'adiacente
studio è esposta una stampa della
Valchiuse ove egli visse anni da eremita, e che oggi ha stretto un gemellaggio
con Arquà. Non accessibile è un piccolo
verone ove è custodita la poltroncina sulla quale Petrarca reclinò il capo alla
vigilia del suo settantesimo compleanno,
intento
a
leggere un'ode di Virgilio, ed ove in una piccola libreria traforata, sistemata
al lato della stessa, la tradizione
vuole che sia stata trovata, in una scatolina, “ senza essere stata mostrata da
lui a persona” la canzone alla Vergine che fu poi posta quasi a chiusura del
“Canzoniere”.
“ Vergine bella, che di Sol
vestita, coronata di stelle, al Sommo Sole
piacesti sì, che in Te
sua luce ascose, amor mi spinge a dir di Te parole:
ma non so 'incominciar
senza tu 'aita, e di Colui, ch'amando in Te si pose.” Con questa preghiera Petrarca descrive tutta
la sua fede ed ammirazione per la Madre celeste che definisce ad ogni
capoverso: bella, saggia, pura, benedetta,santa,gloriosa,sola al mondo,dolce e
pia, chiara, sacra et alma, tale terra, d'alti sensi, tutta speranza, di sante
lacrime, umana, unica e sola, e chiude con l'invocazione...”raccomandami al tuo
figliol che accolga il mio spirito ultimo in pace.”
E
quanto è scritto,in latino, sul sarcofago che conserva le sue spoglie ci lascia
ancor più intimiditi.
“Questa
pietra ricopre le fredde ossa di Francesco Petrarca, accogli o Vergine Madre,
l'anima sua,e Tu figlio della Vergine perdona. Possa essa , stanca della terra,
riposare nella rocca celeste,”
Un
sommesso chiacchierio, fa sì che l'orologio attiri la nostra attenzione: le
dodici e trenta. La S. Messa è finita , la gente torna a casa. Un chierichetto
con ancora la cotta indossata, corre a perdifiato lungo la discesa. Lontano, la
banda strimpella le ultime note, l'auto scende veloce lungo la via percorsa in
precedenza, le parole non le trovi né le vuoi cercare,
pochi
attimi ancora e tutt'intorno sarà nuovamente un silenzio pastorale.
(Maria Teresa S.)
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